Le donne restano ancora le più penalizzate nel mercato del lavoro.
Stando al Bilancio di Genere del 2021, presentato al Parlamento dalla sottosegretaria al Ministero dell’Economia Maria Cecilia Guerra, l’occupazione femminile è tornata a scendere al 49%, a fronte di una media europea del 62%. Non solo: nel 2020 nessuna donna è stata nominata amministratrice delegata di un’azienda quotata in Borsa e le donne con figli sono risultate impiegate il 25% in meno delle proprie coetanee che non ne hanno.
Nonostante nel nostro Paese, nel nuovo anno, sia ripartita l’occupazione, con oltre 3 milioni di nuovi contratti registrati da gennaio a giugno 2021, più di un’assunzione su tre è stata fatta nella forma del part-time e, dall’elaborazione dell’Inapp su dati Inps, emerge che la maggior parte di queste, quasi 1,2 milioni su un totale di 1,8, coinvolge le donne ed è di natura involontaria. Ovvero, le impiegate sarebbero state disposte a coprire full time ma l’azienda ha preferito un contratto di natura diversa.
“Rispetto alla crisi precedenti, l’impatto di quella pandemica è stato particolarmente negativo sulle donne: si è tradotto non solo in una significativa perdita di posti di lavoro in settori dominati dalla presenza femminile, come il commercio e il turismo, ma anche in condizioni di lavoro peggiori, in una accresciuta fragilità economica e in un conflitto vita-lavoro ancora più aspro del passato”, ha spiegato la sottosegretaria Guerra.
Nonostante l’aggravarsi della situazione, nel 2020 solo lo 0,56% del bilancio di Stato è stato stanziato per affrontare il divario di genere che nel caso dell’occupazione è arrivato a toccare 18,2 punti percentuali. Un dato in crescita rispetto al 2019, quando era previsto solo lo 0,30%, ma che resta pur sempre una cifra insufficiente rispetto alla sfida da affrontare.
È importante ricordare nel punto 5 dell’Agenda 2030 troviamo come goal il “raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e ragazze”.
Anche nei Paesi dove per legge non dovrebbe esistere differenza tra i sessi, in realtà potere e responsabilità, nella vita economica, politica e sociale, sono nella gran parte dei casi attribuiti a rappresentanti del genere maschile. In altri contesti, poi, dai contorni giuridici e culturali più rigidi, la condizione femminile subisce ancora retaggi e vincoli di una tradizione che le vuole in un ruolo subordinato nella società.
La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.